Sapevo che sarebbe stato difficile raggiungerlo anche telefonicamente, ma alla fine ce l’ho fatta, mi ha risposto che era in pista a provare una monoposto, e in un rumore infernale, mi chiede se gentilmente potessimo risentirci con più calma il giorno dopo a Napoli. lo richiamo a mezzogiorno e gli dico che volevo fare quattro chiacchiere con lui, per la prima uscita del Blog del suo amico Salvo Esposito. La mia non sarebbe stata una vera intervista perché già avvertita da Salvo ero certa che sarebbe stato riluttante, ma trasformarla in una chiacchierata come ho fatto, è stata la cosa giusta per conoscerlo un po’ meglio.
Sui Caracciolo mi ero già documentata ma gli chiedo cosa significasse il motto “Por Bien Ver,” che appare sul suo stemma, lui ci pensa un attimo e ridacchiando mi risponde in maniera un po’ evasiva, che non ne sapeva molto, ma da piccolo gli era stato detto che con quel motto” Per aver ben visto”, era stato insignito un ufficiale romano che per primo aveva dato l’allarme nel vedere Annibale e i suoi elefanti comparire all’orizzonte non so dove. Dal tono, mi rendo immediatamente conto che Salvo aveva ragione, era riluttante a parlare delle sue origini, e il tono con cui risponde me lo fa capire. Mi dice di essere nato nel castello di famiglia di Melizzano, un ridente borgo alle pendici del Taburno, è quello il posto in cui ha passato gran parte della sua infanzia. Melizzano fu un luogo caro ad Edoardo de Filippo, che amico di lunga data del padre Lucio, scrisse ed ambientò lì la commedia De Pretore Vincenzo. Oltre a lui, avevano soggiornato Pirandello, Curzio Malaparte, Somerset Maugham, Galeazzo Ciano e altri personaggi amici del papà di cui non ricordava i nomi.
Gli chiedo di parlarmi un po’ della sua famiglia, lui sembra gradire la domanda ed inizia col dirmi che la sua era stata un’infanzia stupenda, la madre Beatrice dura nel carattere ma dolce di animo, e il padre Lucio, giornalista e scrittore, corrispondente all’estero durante la guerra e direttore di giornale già a ventidue anni, mi dice anche che era stato un genitore ed un marito straordinario, fu al suo giornale che Giacomo Matteotti inviò la sua ultima lettera prima di morire. “Va molto di moda parlare di conflittualità tra genitori e figli, ma io non ho nulla da dire in proposito, una famiglia meravigliosa da cui non ho subito ne ho dato traumi e che mi ha insegnato a vivere con umiltà, cercando di restare sempre con i piedi a terra. Pur essendo una persona molto riservata e un po’ schiva, posso dire di aver vissuto cose che non tutti possono vantare. Grazie a mio zio Marcello Caracciolo di Laurino, produttore e regista, amato e ricambiato dall’universo femminile, tra cui l’indimenticabile Coco Chanel, e mia sorella Sveva che ho purtroppo perso ancora troppo giovane, fin da bambino ho respirato aria di cinema tra registi, bellissime attrici e attori famosi che incrociavo per casa, e nonostante fossi ancora molto piccolo, ho avuto la fortuna di aver vissuto la magica atmosfera del set dei film girati nelle nostre case”. “Quali?” gli chiedo, “ L’oro di Napoli di Vittorio de Sica, con Sophia loren, Silvana Mangano, Totò, Paolo Stoppa ed altri, Viaggio in Italia, di Roberto Rossellini, con una affascinante e bella Ingrid Bergman e un bravissimo George Sanders, poi quando io avevo circa dieci anni, Viva l’Italia, sempre di Roberto Rossellini in cui mia sorella Sveva interpretò Maria Sofia moglie di Francesco 2° ed io un piccolo trombettiere garibaldino, fu divertentissimo, partecipai alla ricostruzione della battaglia sul Volturno e per un bambino correre tra granate e colpi di cannone è rimasto indimenticabile. Per finire nel 2017 Napoli Velata di Ferzan Ozpetek qui a Napoli, con una bravissima Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi,Luisa Ranieri e Isabella Ferrari ” .
“Quali sono state e sono tuttora le tue passioni,” gli chiedo in una intervista che cerco di fare sempre in modo che resti una conversazione ma che ormai non lo è più. Lui ridacchia di nuovo come se mi avesse letto nel pensiero, e dopo averci pensato un istante risponde, “forse solo quattro, l’amore per la famiglia, che purtroppo ho perso troppo presto e che mi ha fatto sentire tutto il peso delle responsabilità e della solitudine, la passione per la scrittura ereditata da un vero scrittore come mio padre, al suo attivo più di venti libri di successo, mentre io solo due e mi accingo a finire il terzo. Il primo dal titolo, “Il bambino del muro di fronte,” una raccolta di poesie, il secondo un thriller storico di quasi cinquecento pagine inaspettatamente andato a ruba, con quattro ristampe, dal titolo, “Ultima Missione” e di cui c’è un progetto di farne una serie televisiva all’estero. Il terzo a cui sto lavorando, dal titolo provvisorio, “La tela dei Pretoriani,” altro thriller tecnologico e moderno, che ricorda un po’ la sciagura pandemica che ci ha colto. La terza passione nata per gioco, che nel tempo è divenuta un’attività vera e propria, è l’allevamento dei Quarter Horses, una particolare razza americana, nella mia azienda “Il Torello” e di cui vado molto fiero”, “e la quarta?” chiedo io maliziosamente, riferendomi senza dirlo, alle numerose donne di cui ho sentito parlare spesso. Lui ridacchia di nuovo, e come se mi avesse letto nel pensiero, mi risponde, “non è quella che immagini! La mia quarta passione sono i motori, li ho amati quasi prima di compiere i primi passi, forse ereditata da mia madre, che fu una delle prime donne a correre in auto”. “Ne parli con grande entusiasmo,” gli replico sentendolo improvvisamente entusiasta, “si,” mi risponde, “i motori e le auto dopo la mia famiglia vengono di sicuro al primo posto tra le mie passioni. La prima volta che ho guidato avevo sette anni, a undici rischiando di essere arrestato, in compagnia di mio padre giravo già per Napoli. Poi a diciotto anni appena presa la patente, mi sono iscritto alla scuola piloti di Henry Morrogh e da lì ho iniziato a correre, prima in formula Ford e poi in Formula 3 debuttando a Montecarlo anche se dopo sette anni, la mia esperienza si concluse quel giorno”. “Perché, cosa è successo,” gli chiedo, “non ti ha emozionato abbastanza.” “Certo,” replica lui, “ tantissimo, ma ti confesso ciò che solo pochi sanno, il lunedì mattino successivo alla gara, ero ospite di Ljuba Rizzoli assieme a mia sorella Sveva, quando intorno a mezzogiorno viene proprio lei la padrona di casa a bussarmi alla porta, dicendomi con voce che non ammetteva rifiuti di far presto perché c’era una persona che voleva parlarmi, un po’ confuso e ancora assonnato per la festa dei piloti che s’era protratta quasi fino all’alba, mi infilo un jeans e una camicia e vado. Seduto su di una panchina accanto alla piscina, un signore e credo la moglie che bevevano chissà cosa, e con un sorriso mi fanno cenno di sedere. Per non portarla alla lunga il signore era il maggiore investitore della Williams, che contratto alla mano mi offriva di trasferirmi in Inghilterra e di correre per lui.” “E cosa facesti,” gli chiedo presa dal suo racconto, “Non riuscivo a crederci, ma avevo un problema, e dissi che ci avrei pensato già sapendo di non poterlo fare, e sono sparito da quel mondo. “Non capisco,” replico io, lui sospira e risponde,” non avrei mai potuto accettare, perché ho il terrore degli aerei e in quello sport l’aereo è vitale, e quest’occasione persa, me la sono portata dietro fino ad ora. Oggi dopo tanto tempo non ho resistito e sono tornato di nuovo in pista, ma solo per rilassarmi e riprovare l’adrenalina che solo i motori e la velocità riesce a darmi.” Questa volta prendo la palla al balzo e gli chiedo ciò che tanto volevo, “a proposito di adrenalina e Montecarlo sei certo che non ci sia stata una quinta passione tralasciata.” Lui tace per qualche istante più del solito e mi risponde, “no, non credo avere altre passioni, “sei certo,” replico io, “ti parlo in passato,” e lo incalzo sfacciatamente. “Se ti riferisci come in molti a Carolina, tengo a dire anche a te che è stata solo un’amicizia, nata in pista e rimasta bella per parecchio tempo. ““E dei molti altri flirt che ti si attribuiscono con modelle e attrici conosciute, cosa mi dici,” lui si schiarisce la voce e mi risponde, “allora ti svelo un’altra cosa, a me piace molto parlare con le donne, ma non amo parlare di donne.” Il suo tono tra lo scherzoso e il perentorio, mi fa capire che l’intervista finisce li, e dopo esserci scambiati i numeri di telefono ci salutiamo nella speranza che appena sarà finito l’isolamento dovuto al c o v i d, ci saremmo incontrati, e vi prometto che userò ogni strategia per farmi dire qualcosa in più.
Marita Tancredi
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